Un viaggio a cavallo fra il Downtempo, la musica Dub e il Trip Hop: un tempio creato ad hoc dal duo Thivery Corporation, da anni leader nella creazione di suoni ibridi a cavallo fra la musica in levare e il Bristol Sound.
Benvenuti a tutti e a tutte nel mondo creato da Rob Garza e Eric Hilton. Due pionieri della musica elettronica, amanti sfrenati dei ritmi lenti e della musica Dub senza mai dimenticare chi sono e da dove vengono. Infatti la premessa che mi sento di condividervi parte proprio da questo presupposto: due americani, che fin dalla fine degli anni 90 hanno cominciato a viaggiare nelle galassie della musica elettronica, innamorandosi, lasciandosi affascinare dal mondo della musica in levare.
I dread e le metafore religiose conservatrici del rastafarianesimo appaiono il giusto. Ma senza mai diventare bandiera di uno o di un altro movimento culturale e sociale. Qui si va oltre. Si va verso la galassia dell’arte e della sua interpretazione a suono.
The Temple of I & I è tutto questo. Ti accoglie con i ritmi lenti e dilatati a cavallo fra il Bristol Sound e la musica Dub (con un goccio di Dub Poetry) di Thief Rockers, per poi rilanciarti immediatamente dopo pochi minuti nel mondo del Downtempo e del Trip Hop. Ok, qualcuno dice che non esiste questo stile musicale. Niente di più falso (Sappiamo chi stiamo contraddicendo. Ma ci piace pensarla così nda). L’Hip Hop entra di prepotenza con la voce di Racquel Jomes in Letter to the Editor. Ritmo serrato, flow d’assalto e tanto pedalare. I suoni elettronici non si tirano indietro e i sintetizzatori a volte acidi a volte acquatici si alternano in una cavalcata per nulla aggressiva. Il climax sognante nel tempio non viene scalfito. Neanche per un secondo.
Strick the Root suona come una provocazione tanto quanto il giro di fiati che apre il brano. Un brano Dub, Reggae. La voce di Notch è calzante, melodica. Lancia messaggi. Senza dubbio non scontati. Il one-drop prosegue senza interruzione. Coccola tutto e tutti.
Un vero e proprio tempio della Black Music. I Thivery Corporation in The Temple of I & I, costruiscono, preservano e mostrano a tutti e tutte coloro che ascoltano quanto sia affasciante questo mondo fatto in levare e poi in battere. Dal one-drop al “bum bum cha”.
Altro momento alto. Altissimo. True Sons of Zion, sempre con Notch alla voce (precedentemente ascoltato in Strick the Root). Probabilmente il momento più alto del disco. La perfetta unione della visione musicale dei Thivery Corporation: Dub sì, Reggae sì, Hip Hop sì, Elettronica sì. Un mix letale, da quelli da KO. Ma positivo: tanto quanto potrebbe essere una birra ghiacciata dopo una giornata sotto al sole a lavorare. Suoni appunto, freschi innovativi con il un giro di fiati da hit. Notch non si tira indietro ed incalza un ritornello memorabile. Il tutto si assopisce. Si spegne dolcemente. È stato il rito più alto in questo tempio. Brividi.
Ma non è finita qua la cerimonia. Rob Garza e Eric Hilton ci propongono altri appuntamenti musicali altissimi. Come Let The Chalice Blaze: Abstract al punto giusto. Infatti questo nominativo a molti e molte di voi, potrebbe suonare come annoiante. Probabilmente per chi non ha la mente abituata ad un ascolto concentrato. Questa traccia è un piccolo gioiello incastonato, ok in una corona di pietre preziose, ma sicuramente non sfigura. La sua psichedelia è pressoché catalizzante, ipnotica. Il bum bum cha martella e il rullante scandisce il tempo ad una dolce chitarra, a sintetizzatori, campionatori. Saltuariamente appare un sample vocale che minimalmente ripete continuamente il titolo della traccia, quasi fosse una voce guida per non perdersi in questo dedalo di colori e profondità sonore.
Usciti a fatica dal trip di Let The Chalice Blaze, sono sicuramente da citare brani come Road Block, Fight to Survive dove si torna nelle sfere giamaicane del duo americano. Chiude in bellezza con messaggi fortissimi, sempre Notch, con Drop Your Guns. Butta via la tua pistola, fratello. Un problema tutto giamaicano e non solo, ove la povertà e la criminalità organizzata spesso e volentieri mietono più vittime con una 9 millimetri che con l’AIDS.