È tempo di salutarci, a livello musicale. Ogni viaggio ha un suo inizio ma anche una sua naturale fine. Vi saluto con il mio ultimo disco intitolato “The End” disponibile da oggi, 8 Dicembre 2023, in free-download oppure qui su Spotify.
Era una serata come tante altre. Era l’inverno del 2011. Uscivo dalla “solite e bellissime prime esperienze” musicali fra Industrial, Punk, Metal. Ma nessuna aveva funzionato e, se ci aggiungi il fatto che stai banalmente crescendo, certi progetti sonorità non bastavano più. Durante un giovedì sera con amici, incontrai una persona chiave nella mia piccola storia musicale: Gianpaolo anche conosciuto come DJ JOAO. Era un mattatore della città. Storico DJ rock ed elettronico di uno storico locale della città di Brescia chiamato Latte+.
Il mio primissimo passato.
Maxroth – Quad Damage (ero alla voce)
Bloody Engine, sempre alla voce nelle occupazioni.
Ci eravamo già incrociati qua e là per i locali ma mai avevamo avuto modo di conoscerci e di parlare. Alla terza Tennet’s Super un mio amico condivide al tavolo con Gianpaolo: “Ma lo sai che lui fa il DJ?” indicando la mia figura dal dubbio gusto musicale da 21 anni scarsissimi.
Effettivamente mi ero messo qualche volta a fare “lo scemo” con dei Pioneer 100 ma niente di serio. Per nulla, anzi. Del tutto squilibrato. Pur cercando di giustificarmi con frasi come “Ma lo faccio solo perchè mi annoio etc. etc”, Gianpaolo rilancia al tavolo: “Hai un nome d’arte?”. Io non ne avevo, anche se nei cassetti della memoria mi ricordavo che un mio compagno di banco alle superiori mi “prendeva in giro” per un adesivo di una nota marca di strumentazioni audio e di casse audio: La Mackie. Il passaggio fu rapido e scontato.
La prima data fu a S.Valentino in un’aula “occupata” dell’Università di Brescia. Mi stampai un maglietta giusto per abituarmi a quel nomignolo: Mekis. Fu un DJSET a dir poco avanguardistico per la mia incapacità d’interpretare le canzoni e miscelarle fra di loro. Ai tempi mi rifugiavo nella game-music prendendo ispirazione dal Big Beat anni 90 come Fatboy Slim, Daft Punk e cose così. Musiche che mi porterò fino alla fine. Ma andiamo con ordine.
Il DJSET va come deve andare, ma la cosa non basta almeno per Gianpaolo. Mi vuole dare un’altra possibilità allora ci avviciniamo ad un bar in Via S.Faustino a Brescia dal nome del tutto squilibrato ed anche un “pochino triste”: BarZotto. Ora c’è un Sushi all-you-can-eat. Prima un cinema. Cominciamo a macinare le prime ore insieme: una sola console per quattro mani. Qualche ragazzo, ragazza passava di lì a bere una cosa e a muovere “il piedino a ritmo” al bancone fra uno shot e una birra. Era una condizione da 20 massimo 30 persone eh. Niente di che. Ma era nostro. E gli volevamo bene. Ma volevo essere indipendente anche a livello tecnico. Volevo la mia console per studiare tutti i giorni, tutte le ore come poi farò per i successivi 11 anni. Io non avevo i dobloni per comprarmene una mia. 1400€? Ma neanche a pensarlo proprio! Così mi viene il colpo di genio (e il coraggio nda.) di chiedere a mio padre un prestito. Me lo concesse a patto che avrei ridato tutti i soldi fino alla sua estinzione. Andai nel primo negozio di Matteo Castellini, Suona.net ora Officine Musicali e la comprai. Una Numark. Cominciai a suonare ovunque, giuro, ovunque. In qualsiasi posto anche per 20€, 50€. Qualsiasi cosa. Ah, non era certamente la mia una mossa per autoconvincermi della mia scelta ma bensì per evitare un tracollo finanziario generale che mi avrebbe portato a restare in quella cameretta in periferia per ancora tanti anni. La musica, mi fece scappare da un quartiere tossico, pieno di eroina, di botte, di furti e di bulli. Avevo paura di finire intrappolato da fili invisibili e mi serviva un nuovo balzo per uscirne e quella console era il mio lasciapassare verso il mondo cittadino.
Qualche mese più tardi le strade si biforcano. Se da una parte misi per la prima volta i dischi in un locale poi diventato il centro per molti anni della musica in Carmine ovvero il Carmen Town, dall’altra conobbi il Lio Bar nella figura del suo proprietario, Lino. Una persona meravigliosa. Lo frequentavo come tante altre persone, quel locale sulle rotaie. Ogni martedì e nel weekend. Vedevo gente che suonava e che metteva dischi. Mi piazzavo affianco alla console a studiare e ad osservare mentre tutte le altre persone attorno a me bevevano Gin Tonic e ballavano fino alla prime luci dell’alba. Volevo imparare, dannazione! Ma come diamine fate?
Son sempre stato una persona abbastanza “kamikaze” ovvero sia “lanciati anche se non sai fare, imparerai sul campo” scelta e mood coraggioso ma spesso spericolato. Presi il coraggio, un venerdì in prima serata ed intercettai Lino, il propietario: “Come posso suonare qui? Conosco anche un altro DJ che con me ci starebbe a creare qualcosa qua!”. La sua risposta fu semplice: “Devi sentire Marco. Marco Obertini”. Marco era, all’epoca, una figura centrale per la musica della città di Brescia: agitatore musicale prima al Donne e Motori, poi al Lio Bar, poi al Vinile45. Una serie di band intercettate e portate su quelle assi di legno in Via Togni, poco prima che diventassero irraggiungibili. Raggiunsi, invece, Marco ad un’inaugurazione di un negozio di street-wear dove avrebbe dovuto eseguire un DJSET per l’occasione. Ci sedemmo a bere un aperitivo e diede luce verde al progetto denominato “Electro vs Rock”.
Da qui comincia una storia di venerdì sera incredibili. Prima 30, poi 100, poi 200, poi non si capiva più. Sempre più gente. Sempre di più. Anni incredibili, che mai mi dimenticherò. In quegli anni che passano dal 2012 al 2016 durante il weekend la domanda-mantra era “Minchia c’è troppa roba in giro, vorrei vedere tutto”. In quegli anni il problema non era l’assenza di proposte bensì la scelta di cosa vedere perchè sicuramente qualcosa avresti perso. Dio mio, che anni meravigliosi!.
E proprio in quegli anni capii che la musica mixata non mi bastava più. Eppure ero scarso con la chitarra, scarso con la tastiera e i sintetizzatori, scarso ed acerbo in console. Insomma tutto ma in fondo niente. Era un momento fondativo ma ancora non lo sapevo. Roberto Cola, voce psichedelica della città, accetta la mia proposta di fondare un’embrione musicale di musica Dub nato per un’esame in università e lo chiamiamo Road To Zion. Un primo disco e le primissime uscite musicali del tutto primordiali e sperimentali. La vita poi ci allontana ed appare Winston Cobe che prima da fan e poi da bassista e co-produttore, con me riprende in mano il progetto invitando Davide Albrici al trombone, all’epoca noto per essere uno del brass-team di una band chiamata Lemon Squeezers. Ci avevo già fatto qualcosa in qualche locale del lago, ma era un DJSET. Qui si voleva fare musica. Uscii così The Monkey Temple e lì la nascita della Dub music in città. Prima nessuna persona ci aveva mai davvero provato e passavo il tempo a chiarificare alla gente che “Fare Dub non è come Skrillex… è tipo Marley ma più lento”. Lo Zio Mekis, come mi chiamò e mi chiama ancora oggi Luciano, altro importantissimo agitatore musiale della città.
Ebbi la fortuna di mettere i dischi o di portare i miei live show ovunque in Italia, a Berlino, in Croazia, in Austria, in Giamaica: Zion Train, Horace Andy, Jah9, Africa Unite, Murubutu, Assalti Frontali, Iosonouncane, Motta, Ministri, Fast Animals & The Slow Kids, Nada, OBF, Dubkasm, Paolo Baldini e moltissimi moltissimi altri.
Il tour di The Monkey Temple, 4000 persone sul palco principale di Festa di Radio Onda d’Urto
Navigavamo in un piccolo grande mare chiamato Brescia, che non conosceva quanto stavamo proponendo ma piaceva. Oh sì se piaceva. Grandi aperture, tour, grandi palchi. Arrivarono anche i vinili ed un ultimo disco “Becoming Insane” ma anche lì poi la vita ci allontana e congela definitivamente il progetto nei ricordi e nelle fotografie di tour e di macchinate infinite.
Fondai un’etichetta assieme a Winston Cobe, dal nome Cockroach Int. Production che si occupava anche di multimedia sonora ma non solo. Produciamo più gente possibile, rimettendoci un sacco di soldi e tanta tanta fatica ma ci stava. Era il nostro modo di creare dal basso una piccola rivoluzione cittadina. Sbagliammo qualche volta, ma sempre con tanta tanta insana sincerità, valore che ci portò a stampare più di 30 progetti.
La sete di Dub però restava e lontano dai palchi, fra un DJSET e un tour, volevo riprovarci. Ma il cigno nero era dietro l’angolo: io e Gianpaolo decidiamo di abbandonare il Lio Bar per intraprendere nuove strade. Da una parte ero tremendamente spaventato ma seguii il consiglio di un noto stage manager con la quale avevo collaborato a Milano durante l’Estathe Market Sound: “O ci provi Mekis o resti lì per sempre”. Ci provammo.
Spostammo l’Electro vs Rock presso Latteria Molloy, con al timone quella stupenda persona di Belgesto e Blodio. Andò alla grande anche se il locale aveva una conformazione decisamente differente rispetto al intimo e punk Lio Bar. Ma gli anni stavano passando ed attorno a noi si muovevano quelli che chiamavamo “format” ma che ora son intitolate banalmente “feste”. Ovvero format monotematici di musica d’intrattenimento che chiamiamo “trash”. Inizialmente non ci pensavamo, ma gli stessi stavano erodendo quello che era un’ecosistema djeistico complesso e delicato, fatto di autoproduzioni e di autosostentamento. Il pubblico cominciò a calare anche se cercavamo di mantenere la barra a dritta, con una coerenza che ci ripagherà più avanti. Provammo ad “aggiornare” le scalette musicali ma ormai il processo generale risultava irreversibile. Non demordemmo.
Conobbi in quegli anni anche un’altra importantissima persona: Stefano Zorba. Una persona di cuore che vide l’alba dell’hip hop nella città di Brescia. Con lui fondammo Fronte Unico. Rap spintissimo di estrema sinistra, reazionario, rivoluzionario nei testi, classico nella forma. Ma non sempre. Suonammo in giro è vero ma la scelta radicale fu spesso vista come qualcosa da “centro sociale” e non da “palco”. Vabbè.
Nel frattempo, qualche anno prima, entrai grazie al benestare di Jean Luc Stote dentro Radio Onda d’Urto e fondai la mia trasmissione Dub intitolata Zion Street. Ogni domenica, dalle ore 18 alle ore 19. Ore ed ore passate ad ascoltare, preparare la puntata, montare l’audio e le sigle. Mi avvicinai anche alla Festa di Radio Onda d’Urto che avevo già attraversato qualche estate prima come DJ. Ma ora volevo dare una mano. Mi buttai dentro la famiglia Patchanka ove conobbi Millo. Una persona d’oro, un fratello e un grande percussionista. Visionario nella sua interpretazione degli strumenti, sincero nel darti un consiglio, semplice nell’interpretare qualcosa di complesso. Valori altissimi, a mio avviso. E mentre prendevo in mano la programmazione del palco Patchanka nacque Dub Archive: un progetto archivio di musica Dub dal vivo. Un breve ma intenso tour di 17 date in Italia ci fecero capire che le cose funzionavano. Piacevamo. Era diverso, ma andava tutto bene. Almeno mi stavo “allontanando” da quel mondo tossico del “party a format” che cominciava a farmi mancare l’aria artistica e creativa. Scriviamo anche il secondo episodio ma poi arriva un altro cigno nero: il lockdown, il COVID. La musica si immobilizza e se l’ecosistema già stava lottando contro degli squilibri artistici e di produzione a dir poco bizzarri, questa fu la mazzata finale.
La rete che avevo costruito in tutti questi difficili anni cominciò a sgretolarsi. I locali a chiudere, i club a sostituire il palco con un rialzo per tavolini ed aperitivi, i festival sempre più esclusivi e sempre meno inclusivi rispetto a nuove proposte sia in console sia sui palchi. La digitalizzazione del successo, gli ascolti su Spotify e i followers contavano più della visione d’insieme e mi sentii impoverito dentro quel nome chiamato Mekis.
Ci pensai moltissimo. Passai notte intere a ragionare per cercare un nuovo balzo, ma attorno a me vedevo solo una scelta: “O stai alle nuove regole musicali oppure diventerai anacronistico”. E se c’è una cosa che mi fa particolarmente arrabbiare è sembrare anacronistico a 28 anni. Assurdo! Ma, allo stesso tempo, non volevo perdere la coerenza artistica con la quale mi son sempre presentato.
Nell’estate 2023 dopo una timidissima ripresa che portò ad altri cigni neri sparsi qua e là presi la decisione di chiudere, di spegnere lo studio dove provavo e dove ho composto e mixato decine e decine e decine di dischi e vinili. Ora è laggiù con le luci spente. Mi trasferii a Genova per trovare un nuovo rilancio che trovai. L’aria tornava ad essere frizzante, stimolante. Ma in un angolo del mio studio sulle colline liguri c’era quella matassa chiamata musica lasciata lì, mai risolta.
Volevo trovare una soluzione per ciò che ho tanto amato e che ora rivedevo solo attraverso un reels su Instagram. Nell’estate 2023, decisi di chiudere tutto. Tutto. Uscii da Radio Onda d’Urto, da Dub Archive, dal Patchanka, da numerosi progetti “side” e dal Electro vs Rock. A Novembre la decisione di condividere The End, l’ultimo disco come modo per salutarci.
La vita colpisce duro, dissi una volta per tentare di spiegare alle persone attorno a me il perchè della mia scelta: credo che il confine che passi fra la propria creatività, la vita privata e lo stato di necessità del singolo sia la linea che delimita la realtà da irrealtà, creatività da allineamento, serenità da frustrazione. Mi resi conto che se da una parte gli sforzi non erano più sostenibili, dall’altra poche furono le mani tese ad aiutarmi tanto da ritrovarmi spesso isolato dal contesto organizzativo/musicale che il nuovo mondo, il nuovo tempo prevedeva e richiedeva. Dal COVID in poi? No direi di no. La cronicità della situazione generale aveva radici ben più profonde ma come dissi qualche paragrafo fa, le cose diventano nitide solamente quando diventano irreversibili.
Mi mancherà non fare più musica ma so che qualche disco qua e là per l’Italia e per il mondo c’è. Con quel nomignolo nato da un adesivo appiccicato sul diario di scuola che voleva portare qualcosa di bello nel mondo, attraverso la musica.
Posso mettere un’ultima canzone? Un’ultimissima. Non da palco ma da quaggiù. “Aspetterò il momento per un migliore slancio”.
Grazie a tutte, tutti.
Ci rivedremo nel mondo.
Vi voglio bene.
M